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Il tè: profumo d'oriente

di Andrea Mengassini

Rubriche Cucina e dintorni Botanica in cucina

Il te: profumo d'orienteQuando prepariamo una tisana c'è sempre un significato profondo nel gesto: vogliamo scendere per un po' dalla giostra impazzita che è la nostra quotidianità per rilassarci e riprender fiato. Tra i vari infusi a nostra disposizione il tè occupa un posto di prim'ordine e infatti è una delle bevande più antiche e consumate, seconda solo all'acqua.

Il tè di cui voglio parlare non è quello commerciale presentato in bustina, ma un tipo di preparazione più nobile e più elegante, decisamente più aromatica ed avvolgente, che si acquista sfusa.
Le tipologie più importanti sono: il tè bianco, il tè verde, il tè Oolong semifermentato, il tè Assam, il tè Darjeeling e il tè Ceylon, questi ultimi tre detti anche "tè neri".

La pianta del tè, una storia millenaria
La prima curiosità riguarda proprio la materia prima: la pianta del tè anticamente è stata classificata come Thea (di varie specie) e ha donato il nome all'intera famiglia botanica, le Theaceae. In realtà successive analisi botaniche hanno permesso di capire che si tratta di una specie di camelia, di cui coltiviamo altre varietà magari proprio sul nostro balcone. La Camellia sinensis (ossia la camelia cinese) venne così rinominata da Kuntze, ma già Linneo la descrisse nel 1753 come Thea sinensis. In realtà egli credette che i due principali tipi di tè, quello verde e quello nero, provenissero da due piante differenti, mentre si tratta sempre della stessa camelia. Se coltivata in condizioni differenti per zona di crescita, tipo di suolo e clima, unitamente ad un ben differenziato periodo di raccolta e di lavorazione, si ottiene un tè piuttosto che un altro.

Una piantagione di te   La pianta di te

La pianta è originaria della Cina, del Tibet e dell'India del Nord, cresce rigogliosa al di sopra dell'equatore. Ha foglie verdi e piccoli boccioli bianchi che assomigliano a roselline. Viene riprodotta da semi, raccolti in ottobre e tenuti per tutto l'inverno in una cassetta con terra e sabbia; sono poi piantati in primavera alla profondità di circa un metro. In alcune zone rurali sopravvive ancora la tradizione di riprodurre le piante da rami radicati trapiantati (secondo il metodo della margotta).

Si utilizzano le foglie, potate quando la pianta è in fase di quiescenza (ossia non ha ancora raggiunto la piena fioritura) e quindi ha accumulato massimamente gli aromi.
Le prime raccolte si eseguono dopo tre anni dalla prima semina se viene fatta in giardini a bassa quota e dopo cinque anni in quelli ad alta quota. Di solito queste camelie sono produttive per circa trent'anni ma esistono specie selvatiche che lo sono per più di cento.
Le foglie utilizzate sono le ultime due assieme alla gemma apicale di ogni rametto; per i tè commerciali si usano anche la quarta e la quinta foglia. In ogni caso, per ottenere un prodotto pregiato, la raccolta deve esser fatta rigorosamente con le dita (le unghie in particolare) mediante un movimento caratteristico della mano verso il basso.

Le tradizioni
Tramite gli antichi commerci internazionali, i Cinesi hanno esportato la spezia e la pianta in molte parti del mondo ma ogni cultura ha poi elaborato un proprio modo di preparare l'infuso e di servirlo. Nascono così le cerimonie del tè.

Siamo abituati a pensare che esista solo la tipica preparazione all'inglese, il cosiddetto "teatime", aggiungendo latte o limone alla bevanda e accompagnandola con tartine al burro e cetriolo tagliato in fettine squisitamente sottili, con panini oppure con la confettura d'arancia. In realtà questa è la tradizione più "civilizzata" e tipicamente occidentale, forse dovuta alla necessità di addolcire il gusto forte dell'infuso.

In India sono stati gli Inglesi nel 1780, durante l'epoca coloniale, ad introdurre la coltivazione della Camellia sinensis di Canton per tentar di convincere la potentissima Compagnia delle Indie britannica ad emanciparsi dalle produzioni cinesi e a mettersi in proprio. È presente anche una pianta selvatica, in Birmania, detta Thea assamica, che però è stata successivamente ibridata con la sinensis. Il tè indiano o "tchai" viene preparato con cura in grandi quantità all'interno di recipienti metallici. Influenzati dagli Inglesi, gli Indiani consumano tè nero, molto forte e aromatico, servito con molto zucchero e latte, mentre nella tradizione popolare è speziato con chiodi di garofano, frammenti di cannella o un po' di cardamomo.

In Russia il tè viene importato nel 1638 ed inizialmente era destinato solo alla corte imperiale. Agli inizi del 1700 giunge all'aristocrazia e nascono le sale da tè, ritrovi elegantemente arredati dove si radunavano i dignitari di corte e i nobili. Successivamente la spezia raggiunge il popolo che ne fa largo consumo preparandolo nel samovar, ossia un bollitore costituito da un recipiente con acqua calda, che trasmette il calore mediante una serpentina ad una teiera soprastante, detta "ciaqnic", contenente il tè nero molto concentrato. Questo viene poi diluito a piacere con l'acqua spillata dal samovar.

In Nord Africa il tè si consuma soprattutto a fine pasto con una cerimonia particolare e differenziata a seconda del ceto sociale: l'ambiente viene profumato mediante legno di sandalo bruciato in un braciere, ai commensali viene distribuita una coppa con acqua tiepida aromatizzata ai petali di rosa per pulirsi le dita e si donano piccoli dolci di mandorle da assaporare assieme al tè.
Viene servito in bicchieri di vetro poggiati su vassoi di rame che sono cesellati e decorati con frasi del Corano; il vetro consente di disperdere velocemente il calore e quindi di degustare la bevanda ad una temperatura gradevole.

Il samovar da tè         Ceramiche e arredi per la cerimonia del tè


La cerimonia orientale
È in Cina e in Giappone che la cerimonia assume un significato sociale, fortemente permeato dalla filosofia Zen.
Gli Orientali preferiscono il tè verde e lo preparano dedicando una cura maniacale ai dettagli, come ad esempio l'acqua che deve essere rigorosamente di montagna e portata ad una temperatura ideale prima di immergervi le foglie.

Il punto più alto dell'estetica, dell'arte e della filosofia è raggiunto dai Giapponesi. I monaci buddisti ne introdussero l'uso per mantenersi vigili durante la veglia di preghiera e diffusero l'usanza ai samurai, la classe sociale dominante. Oggi come allora si usa una polvere finissima di tè verde detta "matcha", dal gusto forte e amaro, ottenuto dal "Gyokuro", una pianta pregiatissima le cui gemme ed unicamente la prima foglia son raccolte una sola volta all'anno espressamente per la cerimonia. Altri tipi di tè giapponese sono il "Sencha" e il "Bancha" da usare per il consumo giornaliero; quest'ultimo può essere anche grigliato e venduto con il nome di "Hojicha" (o Houjicha); sempre dal Bancha si produce il "Genmaicha" con l'aggiunta di riso e grano soffiato per conferire un gusto caratteristico.

Esistono diverse scuole di degustazione. Il "toucha" è l'antico rito, oggi in disuso, in cui vengono servite in dieci tazze almeno quattro tipi di tè invitando i commensali a riconoscerli. Nel mentre si recitano poesie e si apprezzano opere d'arte e oggetti artigianali nello studio (shoin) del padrone di casa.

La cerimonia attuale, invece, deriva da una regola del 1400 detta "wabicha": nelle linee essenziali si deve svolgere in una casa da tè, che comprende un sentiero tortuoso attraverso un giardino fino alla porta, una stanza di preparazione e una sala di degustazione.
La cerimonia è intesa come un momento per godere la compagnia degli altri invitati: si arriva in anticipo per intrattenersi amabilmente con gli ospiti, si entra nella casa del tè attraverso un piccolo ingresso che costringe ad inchinarsi come atto di umiltà e ci si accomoda davanti al tavolo, il tokonoma, con un ossequioso inchino ai partecipanti. Prima della degustazione vera e propria si serve un pasto leggero di sette portate, costituite da brodo e sashimi (pesce o molluschi crudi a fette sottilissime, aromatizzati con salsa di soia e di wasabi), con contorno di pesce o di carni al vapore accompagnati da riso e dal "ko no mono" ossia ortaggi in salamoia. Al termine viene servito dapprima un tè denso di matcha detto "koicha"; si ottiene versando tre cucchiai pieni di polvere in una ciotola a cui si aggiunge successivamente acqua calda e rimescolando con un frullino fino ad ottenere un preparato denso, schiumoso e di colore verde chiaro; segue poi la degustazione di un tè meno denso. In realtà il cerimoniale è molto più complesso ed ossequioso nei confronti delle preparazioni e degli ospiti, invitati a passarsi una tazza comune di matcha denso, secondo movimenti lenti ed eleganti ben prestabiliti.


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