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Castagne e Ippocastani

di Andrea Mengassini

Rubriche Cucina e dintorni Botanica in cucina

Si parlava qualche tempo fa, con un caro amico biologo, di quelle belle castagne che si trovano spesso nei parchi pubblici delle nostre città e mi chiedeva perché non utilizzarle in cucina. In realtà derivano da una pianta differente dal castagno, chiamata ippocastano o Aesculus hippocastanus, nome che significa "nutrimento per il cavallo" oppure "castagna del cavallo"; in zootecnica vengono usate per alimentare quegli animali che per varie patologie si trovano in uno stato di difficoltà respiratoria (cavalli bolsi).

L'ippocastano
Perché non è possibile mangiare i semi di questo albero come facciamo con le altre ben note castagne? La differenza innanzi tutto è botanica e quindi biochimica: l'ippocastano appartiene alla famiglia delle Hippocastanaceae, originaria dell'Asia e della zona centrale della penisola balcanica, e produce frutti particolari formati da un involucro esterno spinoso (il pericarpo) simile a quello delle vere castagne, che contiene semi, ossia proprio le cosiddette "castagne matte" di cui parlavamo. Osservandole più attentamente si noterà che sono più grandi e arrotondate, prive del ciuffo apicale caratteristico delle castagne propriamente dette e con la macchia chiara alla base più estesa.

L'ippocastano I frutti dell'ippocastano


Non possono essere raccolte e consumate perché sono tossiche. Contengono numerosi principi attivi tra cui glicosidi e saponine triterpenici, soprattutto esculina, in concentrazioni tali da determinare nell'uomo emolisi cioè la rottura dei globuli rossi, aumentandone la permeabilità della membrana plasmatica. Il danno è ancora più importante nei casi di assunzione da parte di bambini. Un'altra molecola presente in questi semi, detta escina, da un lato ha effetti documentati nel trattamento dell'insufficienza cronica della circolazione venosa e dei disturbi ad essa collegati (Bielanski, Piotrowski, J. Fam. Pract. 1999); d'altro canto gli effetti farmacologici possono essere potenzialmente pericolosi soprattutto se si assumono in contemporanea farmaci per la coagulazione e se è presente una condizione di insufficienza renale o epatopatie (fonte: Farmacovigilanza, Società Italiana di Farmacologia).

Gli usi erboristici
La Farmacopea Ufficiale Italiana indica i semi essiccati di Aesculus hippocastanum utilizzabili solo se contengono non meno del 3% di glucosidi triterpenici. L'uso dei composti biologicamente attivi si riferisce a trattamenti fitoterapici per insufficienza venosa; esculina e cumarina migliorano la funzionalità vascolare mentre in cosmetica sono usati come componenti dei filtri solari. I preparati fitoterapici sono comunque a dosaggio controllato rispetto ai semi selvatici.
Nella medicina tradizionale le foglie di ippocastano, ricche di cumarine e tannini ma povere di esculina, sono l'ingrediente principale per tisane contro tosse, artrite, flebiti, trombosi e tumefazioni di origine vascolare, reumatismi; la corteccia invece viene utilizzata come astringente.

Il castagno
Di tutt'altra specie l'albero del castagno. Si tratta di Castanea spp., della famiglia delle Fagaceae; il genere comprende la specie crenata (Sieb. e Zucc.) o castagno giapponese, diffuso in Asia, e la specie pumila (Mill.) o castagno americano, diffuso nell'America del nord. In particolare in tutta Europa si coltiva Castanea sativa (Mill.); l'albero, di interesse sia agricolo che forestale, è originario dell'Europa meridionale, del Nord Africa e dell'Asia occidentale; cresce a uso agio anche sulle coste atlantiche del Marocco, sulle rive del Mar Caspio e nel sud dell'Inghilterra.

Il castagno Il fiore del castagno


Il castagno europeo è un albero dal portamento maestoso e assai longevo, presente soprattutto nelle regioni montuose temperate e temperato-calde, coltivato tra i 300 e i 1200 metri; in Italia i castagneti sono assai ridotti a causa di parassiti che ne hanno minato la sopravvivenza; le regioni che si distinguono per la sua coltivazione sono il Piemonte, la Toscana e il Lazio, la Campania e la Sicilia.
L'albero del castagno è una pianta monoica, ossia presenta i fiori maschili e femminili tutti sullo stesso albero; questi ultimi sono meno numerosi, sono solitari o si aggregano in gruppetti di 2-7 e sono protetti da un involucro verde, squamoso, destinato a formare il riccio (definito botanicamente "cupola"), dapprima verde e poi giallo-marrone a maturità. Il frutto è detto achenio dai botanici ed è incluso nel classico riccio dotato di spine; la forma dei frutti è determinata geneticamente e dalla posizione all'interno del riccio stesso, quindi troviamo castagne emisferiche se laterali e castagne appiattite se centrali. L'impollinazione avviene ad opera del vento ma soprattutto degli insetti e infatti è molto importante la presenza di api in prossimità dei castagneti. La fioritura avviene in piena estate e i frutti cadono spontaneamente dall'albero nel periodo settembre-dicembre, in cui è possibile raccoglierli due volte al giorno.

Il riccio Le castagne nel riccio


Castagne o marroni?
I marroni sono definiti come "derivati da alberi di castagno e che presentano all'interno della buccia frutti interi, non settati, con la pellicola esterna o episperma che non penetra nella polpa e che si stacca facilmente nelle operazioni di pelatura"; invece le castagne presentano dei setti dovuti alla penetrazione della pellicola in profondità nella polpa, fino in alcuni casi a dividerla. Gli agronomi inoltre parlano di "marroni" quando il sapore è più dolce e gli alberi sono meno produttivi rispetto alle castagne propriamente dette. Più in generale si può affermare che la castagna origina da alberi selvatici, non concimati in maniera forzata, mentre i marroni provengono da alberi coltivati e quindi hanno caratteristiche più standardizzate.
Al mercato distinguiamo un marrone perché il frutto appare più grande e di forma quadrangolare; il riccio si apre in 3-4 valve e la buccia, di colore marrone scuro, presenta delle striature più chiare evidenti.

Consumo e conservazione
Castagne e marroni sono ricchi di amido, lo zucchero complesso di origine vegetale, e sono una buona fonte di fibra, di potassio e di vitamine soprattutto del gruppo B; quando vengono cotti, l'amido è trasformato in zuccheri semplici che conferiscono il caratteristico sapore dolce. Questi frutti hanno ottenuto il marchio IGP, come ad esempio il marrone del Mugello o la castagna del Monte Amiata, e il marchio DOP, come la farina di Neccio della Garfagnana.
Si consumano fresche oppure dalla materia prima si ottengono delle lavorazioni particolari, ad esempio le castagne secche, la marmellata, le farine o la crema di castagne.
Per conservarle si deve procedere ad un trattamento consistente in un bagno in acqua per qualche giorno, seguito da una meticolosa asciugatura; successivamente possono essere conservate in un luogo fresco e asciutto per alcuni mesi oppure in congelatore, crude; il metodo migliore, se si vuol utilizzare il freezer domestico, consiste nell'arrostirle e sgusciarle, congelandole successivamente.
Si possono consumare bollite o arrostite. La cottura tramite arrostimento però le rende meno digeribili, perché l'alta temperatura determina una reazione particolare degli zuccheri e delle proteine, detta reazione di Maillard, che ha come conseguenza: la perdita dell'amminoacido essenziale lisina, la diminuzione della digeribilità delle proteine coinvolte nella reazione stessa e secondo alcuni Autori la produzione di intermedi chimici che inibiscono l'assorbimento intestinale di tutti gli amminoacidi.

Per un approfondimento: www.museodelcastagno.it ; www.cittadelcastagno.it


www.lospicchiodaglio.it